Sto rileggendo il post di Alessandro Caliandro sulla differenza tra Netnografia ed Etnografia digitale. L’apetto molto interessante è il frame metodologico. Per la Netnografia si fa riferimento alle Comunità , distinte tra “comunità di marca” e “comunità di pratica”. Quest’ultima ha attirato la mia attenzione soprattutto per interpretarla operativamente in ambienti dove usualmente non si pensa alle persone (leggi target) in questi termini. Le persone che partecipano ad una comunità di pratica condividono interessi e problematiche, per collaborare, promuovere, discutere e confrontarsi su questioni correlate a diversi interessi. Si tratta di gruppi di persone che interagiscono in modo ordinato, sulla base di aspettative condivise che si “organizzano” per il miglioramento collettivo e per apprendere partendo dalle conoscenze degli individui che li compongono. Creazione di significato, Sviluppo di identità , Appartenenza ad una comunità , Risultato di una pratica sono gli elementi che caratterizzano le comunità di pratica. Ma dove possiamo trovare le comunità di pratica? Ovviamente in Rete, ma la risposta è scontata. Le abbiamo sotto gli occhi ogni giorno. Ad esempio nei locali: pensate all’aperitivo. La mia domanda è: cosa deve fare chi gestisce (e non lo sa) una comunità di pratica? Pensiamo proprio ad un locale, un esercizio commerciale: certamente facilitare e articolare le attività di comunicazione tra le persone che frequentano quella location, facilitare i sistemi relazionali affidandosi anche alla Rete. Aspetto da non sottovalutare nel disegno di una architettura relazionale è il “collezionare” una biblioteca di conoscenze basata sulla messa in comune delle conoscenze individuali (rif.): il mix da offrire tra reale e virtuale rappresenta, secondo me, la variabile competitiva. Socializzazione: un esercizio commerciale, oggi, non è più una semplice location dove chiudere un processo di acquisto, ma è una vera e prorpia piattaforma relazionale dove “l’atto di acquisto” è acccessorio; Esteriorizzazione: se conosci la tua clientela puoi arricchire la tua offerta in termini di prodotto/servizio, quindi attraverso forme esplicite; Combinazione: organizzare al meglio i nuovi servizi; Interiorizzazione: capitalizzare sulla conoscenza trasformandola in conoscenza tacita, si sa che “da te si è trattati in un certo modo ed accadono certe cose“. Il limite vero? La volontà di farlo.
Comunità di pratica negli esercizi commerciali
Sto rileggendo il post di Alessandro Caliandro sulla differenza tra Netnografia ed Etnografia digitale. L’apetto molto interessante è il frame metodologico. Per la Netnografia si fa riferimento alle Comunità , distinte tra “comunità di marca” e “comunità di pratica”. Quest’ultima ha attirato la mia attenzione soprattutto per interpretarla operativamente in ambienti dove usualmente non si pensa alle persone (leggi target) in questi termini. Le persone che partecipano ad una comunità di pratica condividono interessi e problematiche, per collaborare, promuovere, discutere e confrontarsi su questioni correlate a diversi interessi. Si tratta di gruppi di persone che interagiscono in modo ordinato, sulla base di aspettative condivise che si “organizzano” per il miglioramento collettivo e per apprendere partendo dalle conoscenze degli individui che li compongono. Creazione di significato, Sviluppo di identità , Appartenenza ad una comunità , Risultato di una pratica sono gli elementi che caratterizzano le comunità di pratica. Ma dove possiamo trovare le comunità di pratica? Ovviamente in Rete, ma la risposta è scontata. Le abbiamo sotto gli occhi ogni giorno. Ad esempio nei locali: pensate all’aperitivo. La mia domanda è: cosa deve fare chi gestisce (e non lo sa) una comunità di pratica? Pensiamo proprio ad un locale, un esercizio commerciale: certamente facilitare e articolare le attività di comunicazione tra le persone che frequentano quella location, facilitare i sistemi relazionali affidandosi anche alla Rete. Aspetto da non sottovalutare nel disegno di una architettura relazionale è il “collezionare” una biblioteca di conoscenze basata sulla messa in comune delle conoscenze individuali (rif.): il mix da offrire tra reale e virtuale rappresenta, secondo me, la variabile competitiva. Socializzazione: un esercizio commerciale, oggi, non è più una semplice location dove chiudere un processo di acquisto, ma è una vera e prorpia piattaforma relazionale dove “l’atto di acquisto” è acccessorio; Esteriorizzazione: se conosci la tua clientela puoi arricchire la tua offerta in termini di prodotto/servizio, quindi attraverso forme esplicite; Combinazione: organizzare al meglio i nuovi servizi; Interiorizzazione: capitalizzare sulla conoscenza trasformandola in conoscenza tacita, si sa che “da te si è trattati in un certo modo ed accadono certe cose“. Il limite vero? La volontà di farlo.
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